La notizia sono io

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Il 20 luglio scorso, l'editore del New York Times, A. G. Sulzberger, ha incontrato il presidente Donald Trump alla Casa Bianca, su invito di quest'ultimo.

Non smettete di leggere. La storia riguarda tutti noi.

Sulzberger, accogliendo una sollecitazione non inconsueta da parte di un presidente, ha approfittato dell'occasione per spiegare a Trump come le sue costanti filippiche contro la stampa costituiscano una pericolosa incitazione alla violenza. In particolare, quasi sorvolando sull'utilizzo compulsivo della formula FAKE NEWS, Sulzberger ha spiegato a Trump che definire, come ha fatto nel primo anno del suo mandato, i giornalisti “nemici del popolo” potrebbe avere conseguenze incontrollabili. Il copyright dell'espressione “nemici del popolo” è infatti di Trump.

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L'incontro doveva essere off the record, vale a dire confidenziale. Il presidente non ha resistito.

Ieri, domenica, ha dapprima twittato la notizia dell'incontro con Sulzberger, con una chiusa ambigua: “Sad!” (triste!). Triste chi? Trump? Sulzberger? Che cosa? L'incontro? I suoi contenuti?

L'attesa per uscire dall'ambiguità presidenziale è durata poco. Trump si è immediatamente scagliato contro i “fake news media”: li ha accusati di mettere a repentaglio la vita di molte persone rivelando decisioni interne al Governo.

Ha creato un neologismo: la “Trump Derangement Syndrome”. La definiremo: Sindrome allergica nei confronti di Trump.

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Trump non si è fermato.

Avanti tutta.

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In sostanza, il presidente ha chiesto: "Perché non scrivete mai bene di me?".

Sulzberger, l'editore trentasettenne del New York Times, ha interpretato i Tweet di Trump come un'infrazione all'accordo di confidenzialità relativo all'incontro.

Ha così replicato con un testo nel quale sottolinea di avere accettato l'invito per spiegare al presidente la pericolosità della sua retorica ostile alla stampa.

E anche questo: che la sua ossessione anti news media sta avendo un effetto globalmente osservabile, con emuli in altri paesi che prendono le sue parole alla lettera, mettendo il bavaglio a tutto quanto non accomoda il potere.

Oggi, il NYT torna sull'argomento, con un articolo che lo contestualizza.

E che sottolinea come Trump non sia il primo presidente americano a lamentarsi con un editore. È probabilmente il più infantile. O il più astuto. 

Bill Clinton un giorno telefonò a Arthur Ochs Sulzberger Jr, il padre dell'attuale editore del NYT (è una dinastia), lamentandosi per il taglio negativo, se non addirittura ostile, degli editoriali del foglio newyorchese.

La risposta dell'editore fu: “È una relazione di amore e odio”. Clinton non si diede per vinto e ribatté: “Beh, non dimentichi l'amore”.

Dieci anni dopo, il presidente George W. Bush convocò alla Casa Bianca lo stesso editore nella speranza di poterlo convincere a non pubblicare un'inchiesta sulle intercettazioni telefoniche della National Security Agency realizzate senza mandato della magistratura. Fallì.

Questi sono i fatti di un rapporto da sempre conflittuale: quello fra la stampa e il potere. 

L'elemento più interessante è che il New York Times cercò, il 13 luglio, vale a dire sette giorni prima dell'incontro fra il suo editore e Trump, di fare una cosa carina e gradita al presidente. Quale?

FdR la spiega in Mea culpa.