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Nella città sono rimasti i vecchi. E io che scrivo. Anche la ragazza del Caffè Stadion. Aggiungere le cassiere del supermercato, pallide, quasi fosse la tinta della resistenza: noi al mare non ci andiamo. Lo vorrebbero tanto, in verità.

Uno che mette la mano nel frigo dei surgelati: potrebbe portarsi via tutto. Non lo rincorrerebbe nessuno. I poliziotti hanno smarrito il senso di ciò che è giusto e ciò che non lo è.

Il barbone alla fermata dell'autobus non c'è: al mare anche lui. Forse. Se non è morto o non l'hanno portato via. Soffia un vento. Dov'è il traffico? Verrebbe da invocarlo: faccia rumore e inquini.

Uno col cane chiede un cappuccino freddo. Il cane non chiede nulla. È attaccato alla bombola dell'ossigeno e con la zampa anteriore destra regge un piccolo ventilatore.

Che sia il caldo? Questo vento? Turisti: tre. È interessante osservare come siamo impacciati quando ci muoviamo in una terra sconosciuta, o perlomeno non nostra. Ordinano la colazione: nemmeno fossero in banca a chiedere un mutuo.

La ragazza del Caffè Stadion indossa i jeans. Perché? Perché i jeans se fa così caldo? Sto per chiederglielo.

Quando arriva quello che un mese abbondante fa stava bene. Ha avuto un ictus, nel frattempo. Ordina un caffè (caldo) e una bottiglietta d'acqua. Non ha perso le abitudini. Di diverso c'è soltanto la mano sinistra che lui si infila nella tasca dei pantaloni aiutandosi con la destra quando la sinistra sguscia fuori, un corpo estraneo non comandabile.

Lo saluto, mi guarda strano.

Un po' come se fossi io la sola presenza che impedisce alla fornace di questo sabato di essere perfetta.