Paracar che scappee de Lombardia

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A volte (e anzi spesso) chi osserva la realtà trova una consolazione (che è uguale a dire ispirazione) nella letteratura.

Bella scoperta se ti piace la letteratura, direte.

No. Non in questo senso. Andrebbe detto: in un senso necessario, quindi scollegato dai gusti individuali.

Leggete qui di seguito i versi di Carlo Porta e capirete. Sono stati scritti il 28 aprile del 1814, il giorno in cui gli Austriaci entravano a Milano mentre le truppe napoleoniche si davano alla fuga.

Sono in dialetto milanese: in fondo è il nostro, lo capiamo tutti (la traduzione integrale in italiano la trovate alla fine).

Paracar, che scappee de Lombardia,

Se ve dann quaj moment de vardà indree,

Dee on’oggiada e fee a ment con che legria

Se festeggia sto voster san Michee.

(“Fare San Michele” significa “traslocare”, trasferirsi di casa, in quanto il giorno 29 settembre, di San Michele appunto, era a Milano la data di scadenza dei contratti d’affitto. Giornata triste per tanti poveri cittadini dell’epoca! Ma qui il Porta si riferisce ironicamente al trasloco forzato delle truppe francesi, dopo il crollo di Napoleone nel 1814).

I paracarri francesi di Porta (in un'atmosfera di regno ormai a pezzi) come i soldati americani di oggi nel nord della Siria. Come gli Stati europei che dicono di non capire, di non sapere, di non avere saputo, di non volere ciò che sta accadendo, di non avere visto arrivare nulla, zero.

E in fondo anche come i Curdi, convinti che non sarebbe più cambiato nulla, che il gioco fra le potenze fosse ormai fatto e il loro posto nella Storia e soprattutto nel futuro definitivamente deciso.

Continua Carlo Porta, con esaltante ironia circa la “gentilezza” degli altri forestieri, ora sopraggiunti in sostituzione dei precedenti:

E sì che tutt el mond el sa che vee via

Per lassà el post a di olter forastee,

Che, per quant fussen pien de cortesia,

Vorraran anca lor robba e danee.

Nella terzina che lancia la conclusione, con perfezione riassuntiva:

Ma n’havii faa mo tant, violter baloss,

Col ladrann, e coppann gent sôra gent,

Col pelann, tribolann, cagann adoss,

E la conclusione, tre versi universali, superiori a qualsiasi analisi che sia stata fin qui prodotta sulla guerra nel nord della Siria, nella capacità che hanno di dirci che, in fondo e sempre, non facciamo che tirare a campare e salvarci la pelle, quando possibile, di fronte alle decisioni prese (e anche a quelle non prese) dagli altri.

Nella Milano dell'800 come oggi.

Che infin n’havii redutt al pont puttana

De podè nanca vess indifferent

Sulla scerna del boja che ne scanna.

Qui di seguito la versione in italiano della poesia.

Paracarri che scappate dalla Lombardia, se vi concedono qualche momento per guardavi indietro, date on’occhiata e badate con che allegria, si festeggia questo vostro trasloco.

 E sì che tutto il mondo lo sa che ve ne andate per lasciare il posto ad altri forestieri, che per quanto possano essere pieni di cortesia, vorranno anche loro roba e soldi.

 Ma ce ne avete fatte così tante voi birbanti, derubandoci, ammazzandoci uno dopo l’altro, con il pelarci, tribolarci, cagarci addosso,

 che alla fine ci avete ridotto al punto disperato, di non poter restare indifferenti neanche nella scelta del boia destinato a scannarci.

Testo originale, nota esplicativa e traduzione da La Canzone Milanese, consultabile qui.