Due canne e pace (in Medio Oriente)

© 2020 FdR (Iraq)

Il Medio Oriente è due cose: sofisticatezza e brutalità.

Riassume così lo spazio dentro il quale ciascuno di noi si muove vivendo. Non tutti ci avventuriamo agli estremi, diamo forma per lo più a una loro gradazione. Lasciamo cioè che si intuisca dalle nostre azioni la possibilità che saremmo potuti o potremmo sempre e ancora andare oltre.

L'annunciata annessione da parte di Israele della Valle del Giordano (internazionalmente riconosciuta come appartenente a un futuro Stato palestinese o perlomeno non a Israele) si iscrive nella complessità mediorientale e, nel caso specifico, del conflitto israelo-palestinese, oltre che nello stato di cronicità clinica terminale nel quale versa quest'ultimo.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso tempo fa (all'inizio di tre tornate elettorali in rapida successione) che la Valle del Giordano sarebbe diventata parte ufficiale dello Stato di Israele.

Per la cronaca: parte ne è già oggi, anche se manca l'ufficializzazione.

La politica in Medio Oriente è sofisticata e brutale. Israele non fa eccezione.

Serve una buona dose di ipocrisia per scandalizzarsi del fatto che il primo ministro israeliano coltivi questa ambizione (la data del primo luglio è trascorsa, e finora ufficialmente non è avvenuto nulla).

Netanyahu ne è consapevole e cavalca astutamente la prevedibilità (e l'assenza assoluta di coerenza) della cosiddetta comunità internazionale, così come le sensibilità dell'opinione pubblica israeliana.

Sul piano internazionale, lo spauracchio dell'annessione della Valle del Giordano equivale a prospettare uno scenario terribile, una volta sventato il quale tutto il resto (vale a dire lo stato attuale delle cose) sembrerà in fondo costituire il male minore: l'occupazione della Cisgiordania, la sua atomizzazione, l'asservimento della classe politica palestinese (un processo non soltanto indotto dagli israeliani, bensì abbracciato dagli stessi palestinesi), il disastro di Gaza (anche qui, con responsabilità comuni, sebbene diverse), in fondo (e non da ultimo) l'infantilizzazione della società israeliana.

Un'infantilizzazione che da una parte è radicalizzata sulle posizioni dei coloni-conquistatori-senza-un-domani, mentre dall'altra è incarnata dallo pseudopacifismo telaviviano, ispirato a un vogliamoci-tutti-bene che francamente sa più di cannabis che di convinzione maturata.

Della serie: facciamoci due canne e pace.

Sul piano internazionale, prospettare l'annessione della Valle del Giordano serve a fare dimenticare tutto questo.

Sul piano interno, serve a fare dimenticare che Netanyahu è un premier che la Giustizia israeliana vorrebbe processare e a tenere alta la febbre dei coloni religiosi radicali, per i quali l'Antico Testamento costituisce il piano regolatore da applicare alla regione. Senza coloni, Netanyahu non comanda.

L'annessione della Valle del Giordano piace a Trump e al suo genero (incompetente in materia) Jared Kushner, fa anzi parte del piano di pace del secolo al quale l'inquilino della Casa Bianca tiene tanto.

In Israele si scrivono due cose, sui giornali: che Jared Kushner (genero del presidente Trump e suo consigliere speciale in questioni mediorientali)) sta sulle palle a Netanyahu (probabilmente per non capire una mazza di ciò di cui parla) e che il primo ministro sembra non credere alla rielezione di Trump il prossimo novembre. Annettere ora la Valle del Giordano potrebbe compromettere la ripartenza delle relazioni Israele – USA con un ipotetico nuovo presidente.

Ciò non significa che Netanyahu non coltivi l'ambizione di passare alla Storia come il politico che ha portato l'ambasciata statunitense a Gerusalemme (fatto) e, ancora di più, come quello che saprà spostare il deserto (in parte fruttuoso) a ovest del Giordano dentro la cartina ufficiale dello Stato israeliano.

La coltiva, eccome.

La coltiva con calma. E astuzia.

Ecco.

Calma. Astuzia. Sofisticatezza. E brutalità.

Il Medio Oriente in quattro parole.

Tanto per non semplificare.

(g.g.)