Lugano balla

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Scrivo da lontano.

La ricostruzione dell'Ucraina quale obiettivo della conferenza di Lugano (4 - 5 luglio) è un siparietto politico. Purtroppo e in questo frangente almeno. Spiace dirlo, tenuto conto delle buone (e ingenue) intenzioni di chi la organizza. Non è un'iniziativa diversa dal trascurabile (e trascurato) esercizio degli Accordi di Ginevra che anni fa avrebbero dovuto rimettere sulla carreggiata, leggi rappacificare (invano) Israeliani e Palestinesi. Nel fondo, l'ambizione è la stessa: Lugano balla, dopo che ha ballato Ginevra.

Altro impeto produrrebbe invece il disperato tentativo di raggiungere almeno un cessate il fuoco, prima ancora che la fine della guerra in corso. Sebbene persino questa ambizione suoni ingenua, tenuto conto dello scacchiere che abbiamo di fronte e non da ultimo della natura degli esseri umani. Diciamo: tenuto conto di come sia facile fare la guerra, più facile farla che fermarla.

Però: non proveremmo pietà vera nei confronti delle vittime, delle vittime dell'invasione russa, se non chiamassimo e rivendicassimo (dopo avere viste tante guerre, troppe) l'ineluttabilità di un'azione politica destinata a fermarla, questa mattanza in corso (uguale a tutte le altre viste e raccontate), nelle intenzioni programmatiche almeno. Se non urlassimo (liberamente) l'indispensabilità di provarci. Seppure scontrandoci con la versione ufficiale della realtà.

Seppure scontrandoci addirittura con le ambizioni di una «Standortsbeförderung» (una promozione del genius loci cantonal-lacustre, una personalità politica lo ha detto, a voi spetta scoprire chi) che hanno sul serio, care lettrici e cari lettori, poco a che fare, anzi nulla, con la conta dei morti in Ucraina.

(g. g.)