Meno di un millimetro
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Dicono che i bambini vanno in paradiso. Se è così, da ieri ci sono nuovi inquilini: i morti della strage di Dahyan, nello Yemen. Quanti altri ancora.
Non sappiamo dove andremo a finire. Tuttavia, pensare che ci sia un paradiso e che lì dimorino, fra gli altri meritevoli, gli innocenti ammazzati in guerra: sa un po' di fregatura.
Avrebbe un senso impegnarsi affinché ci finiscano il più tardi possibile.
La guerra cancella le consolazioni.
La facciamo per ammazzarci. Punto.
In guerra muoiono tutti. Bambini inclusi.
Meglio il dolore profondo e sommesso affidato a parole semplici, a un emoticon, di chi prova sincero disorientamento e la radicalità del lutto consegnata alla reticenza. Una volta venivano chiamate “persone semplici”. Per dire: quelle che non conosce nessuno.
Definiamole: vere.
La strage di bimbi nello Yemen (non è la sola) ha scatenato i tromboni: se soltanto fosse nelle loro mani, il mondo andrebbe diverso.
È venuta fuori la furia degli “addetti ai lavori” del giustizialismo: gli autori dovranno essere portati davanti alla giustizia!
Quali autori? Quale giustizia?
Quando potremmo dire, se ci mettessimo a cercare, di avere individuato il responsabile ultimo della strage al mercato di Dahyan? Quando potremmo dire, se ci mettessimo ad applicarla, che giustizia è fatta?
La guerra è generatrice di velleità. Flirtano con la considerazione che ciascun essere umano ha di se stesso. Viene sempre prima di quella che abbiamo per gli altri, anche quando non sembra.
Eppure: la guerra cela in sé, segretamente, il pulsante che ci permetterebbe di fermarla.
Qual è, dove si trova, come raggiungerlo, come darci un colpo di pugno sopra, come augurarci che funzioni?
Ne scriviamo nel Senso del taccuino di oggi.
Con Ciò di cui i buoni ci nutriamo dell'esperienza di tutte le guerre viste, vissute e raccontate da vicino. Non da un millimetro: da meno.
Due righe che anticipano:
"Che in guerra esistano i buoni e i cattivi è un'idea alla quale siamo tentati di credere. È fuorviante. Provate a guardare ciò di cui sono capaci i buoni".
(g.g.)