Fermatevi

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La guerra deriva la sua tollerabilità anche da questi due elementi: che è lontana e che è un affare.

Il Consiglio federale dovrebbe decidere domani sulla richiesta di modifica dell'ordinanza sull'esportazione di materiale bellico formulata dal consigliere federale Johann Schneider-Ammann.

Ne parla il Tages-Anzeiger in un articolo che sembra bene informato: si può leggere qui.

In sostanza, Schneider-Ammann avrebbe accolto positivamente le pressioni dell'industria bellica elvetica, che alle autorità federali chiede maggiore spazio di manovra all'estero per competere con la concorrenza europea, molto più aggressiva (complimenti!) in materia di esportazioni di materiale militare.

La modifica dell'ordinanza può avvenire, secondo il Tagi, senza che il Parlamento e il popolo abbiano voce in capitolo.

In futuro, gli armamenti realizzati in Svizzera potrebbero essere esportati anche in zone di guerra. A condizione che questi affari rispettino due o tre condizioni messe lì per uscirne puliti.

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Non è mai esistita alcuna possibilità di impedire che un fucile o una pallottola venduti dalla Svizzera allo stato x finissero con l'essere utilizzati dallo stato z, immerso in una guerra, civile o meno che fosse e che sia.

La nuova ordinanza renderebbe le pseudogaranzie giuridiche ed etiche (si fa per dire etiche) formulate dalla Confederazione ancora più ipocrite e ridicole. E criticabili. Armi e munizioni finirebbero in circolo ovunque.

Se le cose stanno come le descrive il Tagi, la Svizzera farebbe un duplice affare: guadagnerebbe sulle guerre dapprima e successivamente sulle conferenze di pace organizzate a Ginevra.

Se è così che Schneider-Ammann l'ha pensata, merita la definizione di: ministro illuminato.  

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FdR esorta il consigliere federale Schneider-Ammann ad accogliere l'invito qui formulato a recarsi, insieme, su un teatro di guerra. Per capire che cos'è: la guerra. E che cosa fanno: le armi. Anche quelle prodotte in Svizzera.

La posizione del ministro è inaccettabile. Insostenibile. Immatura e cinica. Lo sarebbe a maggior ragione quella del Consiglio federale in caso di decisione positiva.

Sarà interessante registrare altresì la posizione del ministro degli esteri: così interessato alla pace (perlomeno in Medio Oriente), al punto da non temere frizioni diplomatiche. 

(g.)