Aria fritta sul clima

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Soffia aria fritta dalla Svezia. Sul clima.

Breve introduzione.

C’è una forma di pseudosuperiorità nella quale si incarna (quelle poche volte che si incarna) la relazione dei paesi scandinavi nei confronti del resto del mondo. Svezia inclusa, e forse in primis.

Restano memorabili le scene delle sciure svedesi che nel 2015, l'anno della grande crisi migratoria, erano sulle spiagge di Lesbo.

Lo erano infilate dentro giubbotti fosforescenti gialli con scritte in arabo sulla schiena (del genere: "mi chiamo Madelene…") e nel momento stesso in cui un gommone tocccava la riva (oltre la riva le sciure non andavano) si precipitavano ad abbracciare gli uomini, che per come va la vita erano anche mariti, creando non poco imbarazzo agli stessi e suscitando nelle consorti l’interrogativo, drammatico nonostante il precedente dramma dell’attraversata in mare, circa che cosa sarebbe successo loro, la fine che avrebbero fatto quei mariti e, in definitiva, spingendole a chiedersi se l’Europa fosse abitata da un’orda di mangiatrici di uomini.

Sulla spiaggia, gli uomini erano pochi, e quei pochi (anche se non tutti) provenivano da paesi nordici e scandinavi.

Cosa facevano? Strappavano i bambini dalle mani dei genitori, ancora sul gommone, con l’evidente (e perché no comprensibile) intenzione di evitare che finissero in acqua. L’azione generava tuttavia il problema, successivamente affrontato, di decidere di chi fossero figli quelle creature.

La correttezza scandinava giungeva a mettere in dubbio la richiesta di una madre siriana affinché le venisse restituito il figlio che poco prima le era stato tolto dalle braccia quando essa era ancora sull’imbarcazione: dimostraci che sia il tuo davvero!

L’imbecillità saldata all’idea di sapere che cosa è giusto per gli altri.

Svolgimento.

Lo stesso complesso di superiorità viene ora comunicato attraverso Greta Thunberg. La quale, pur essendo liberissima di fare e dire ciò che desidera, in virtù di questa libertà deve accettare (e insieme a lei tutti coloro che la sostengono) le critiche, dalle più sempliciotte a quelle più complesse e serie. La libertà di opinione e di espressione vale per tutti.

Greta (e l’industria che dietro di lei ha preso e sta prendendo forma) propone il catastrofismo quale chiave di lettura e quale forma di esperienza del mondo.

La paura, che la predizione della catastrofe innesca, è quanto di più pericoloso la Ragione (va scritta con la maiuscola) si possa trovare a dovere gestire, e perché no a combattere.

La paura è l’antiragione. Tale paura invade in particolare gli adulti. I quali, in numero non modesto, si sono messi in coda al messaggio apocalittico di Greta.

E i giovani?

I giovani non hanno paura. Ai giovani piace emulare e fare un po’ di casino. Ragione per la quale assistiamo ai venerdì dello sciopero dell’intelligenza e ad azioni di fattura diversa attraverso le quali gli alunni chiedono ai politici di varare misure per la protezione del clima del pianeta Terra.

Non hanno torto nel chiederlo. Ma sbagliano destinatario. I politici non hanno alcuna idea di che cosa fare. Hanno, in generale, poca idea su tutto.

Fossi in questi ragazzi non rinuncerei a una sola ora di scuola. Imparerei il più possibile affinché, un giorno, sia nella condizione di produrre le soluzioni alle quali i politici non potranno più sottrarsi, non per ignoranza e non per malafede. Per evidenza.

Quando avevo l’età di questi giovani studenti  mi addormentavo pensando che il mondo, il giorno dopo, forse non ci sarebbe stato più: andava avanti la guerra fredda. In seguito ci siamo presi Chernobyl sulla testa, le piogge acide e chissà quante cose ancora.

Cosa facevo? Leggevo tutto quello che potevo leggere. Meglio morire così che da fesso, pensavo.

Vale la pena leggere anche pensando al clima.

Avete mai pensato a quanto CO2 produce la nostra vita digitale? Il nostro starnazzare sui social? Lo streaming dei video? Un messaggio WathsApp? Un selfie postato su Instragram? Una telefonata con lo smartphone? Pubblicare e leggere questo articolo?

Secondo lo studio del gruppo francese The Shift Project (che si batte per una neoeconomia senza carburanti fossili), l’impronta ecologica dell’industria digitale e telematica in fatto di emissioni di gas a effetto serra è pari al 3, 7 percento.

Gli aerei, da parte loro, partecipano con un 2 percento.

Ogni anno, inoltre, il consumo  energetico richiesto dalla nostra vita digitale cresce del 9 percento. Andasse avanti di questo passo (come andrà avanti) e crescesse (come probabilmente crescerà) il volume di dati scambiati su internet del 30 percento annuale, nel 2025 il settore digitale sarebbe responsabile dell’emissione dell’8 percento di tutti i gas a effetto serra. Vale a dire uguale uguale alla percentuale oggi imputabile al traffico stradale.

Sono dati, discutibili come tutti i dati, ma intanto bisognerebbe discuterne. E per discutere non serve fare i pupazzi, serve studiare.

Alla scuola non guasterebbe spiegare a chi la frequenta come funziona e su quali basi e strutture fonda il suo successo l’arruolamento di massa digitale.

(g.g.)