Antenne, paure, filosofia

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L’ostilità nei confronti delle nuove antenne 5G è un elemento centrale per capire il momento storico che attraversiamo. Non è soltanto storico: è una svolta nell’evoluzione dell’homo sapiens.

Le antenne 5G dovrebbero servire – ci viene spiegato – alla realizzazione di una nuova realtà tecnologica, nella quale prenderà forma, in una prima fase, la capacità di trasmettere e ricevere senza interruzioni molti più dati via aria.

La funzione di queste antenne non è soltanto il risultato di un progresso della scienza: esse dovrebbero servire alla scienza. A quale scienza? Per farla breve all’Intelligenza artificiale (IA) nelle sue molteplici applicazioni.

Rientrano nella definizione di IA i droni e le auto autonome, ma anche la trasmissione di dati e immagini di carattere medico in tempo reale: ambulanze-ospedale, ospedale-ospedale, smartwatch-centro di monitoraggio (pronto soccorso). Senza dimenticare, su altro fronte ma in fondo nemmeno tanto e con altrettanta giustificabile criticità, l’ultra data mining, vale a dire lo sfruttamento intensivo dei dati che riguardano il nostro stare al mondo digitale.

Alla categoria dell’IA appartiene realisticamente tutto ciò che oggi non riusciamo ancora a immaginare.

La trasformazione in realtà di tale immaginazione è affidata alla scienza.

Alla quale, tuttavia, chiediamo di garantire (con studi e dossier) la sopportabilità delle emissioni prodotte dalle antenne 5G.

Chiediamo, cioè, alla scienza di certificare il fatto che le onde millimetriche delle antenne non facciano di noi polli nel forno. Vale a dire che esse non nuociano al fegato, ai polmoni, al cuore, ai timpani, al cervello.

Il cervello. Ecco il punto.

Chiedere che il 5G non ci faccia fisiologicamente del male è una richiesta sacrosanta, e tuttavia significativa di quanto poco siamo consapevoli della svolta che la rivoluzione scientifica (in corso da cinque secoli) sta nuovamente per prendere.

La resistenza alla proliferazione delle antenne 5G incarna, filosoficamente scrivendo, l’inconsapevole trincea dell’io (o della coscienza, di quello che i tedeschi chiamano il Selbst) scavata nei confronti del temuto antagonismo futuro che l’IA potrebbe interpretare nei nostri confronti.

Questa resistenza non viene percepita come tale. Viene ricondotta (e "ridotta", anche se si fa soltanto per dire) a timori relativi alla nostra salute.

Stiamo chiedendo alla scienza di non doverci preoccupare oppure di confermare i nostri timori.

Le chiediamo troppo. E, nel medesimo istante, troppo poco.

Perché?

Perché questa richiesta viene formulata riduttivamente in termini organici.

Ci chiediamo se il 5G (e ciò a cui sta aprendo le porte) faccia male al fegato, alla milza, ai polmoni, al cuore.

Dimentichiamo, in questo modo, la percezione umanistica di chi siamo, di chi saremo, di come definiremo il nostro essere al mondo, la nostra percezione della realtà, la percezione che avremo, che gli altri avranno e l'IA avrà di noi, in definitiva il nostro Selbst.

È assente, in definitiva, la riflessione profonda non finalizzata all’antagonismo fra noi e l’IA, ma all’indispensabilità dell'accompagnamento, dell’andare insieme: una riflessione da più angoli sulla straordinaria svolta storica e di civiltà verso la quale ci stiamo muovendo, e anzi che stiamo già attraversando.