La società debole

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Non ci vuole molto per trasformare una società. Intere società.

È successo e ci siamo dentro.

Il disorientamento della politica e l'abdicazione della stampa alla sua funzione (perlomeno nelle democrazie) di argine alla massificazione del pensiero ci hanno portati qui.

Alla fragilizzazione della società.

Una interpretazione indipendente (e persino altruistica) del nostro starci dentro non è più tollerata, in alcuni casi meno che in altri. È anzi osteggiata.

Meglio che tutti facciano la stessa cosa, anche se non è la cosa giusta. Non sempre la cosa giusta da fare. E pazienza se questo corrisponde alla definizione enciclopedica di egoismo.

Una società dentro la quale tutti fanno e pensano la stessa cosa è una società debole. In particolare nei momenti di crisi o di emergenza.

Essa concede (e anzi asseconda) spazio ai ragionamenti patacca, soltanto a loro: anzi li amplifica, dopo averli implorati quale ragione del suo essere con un'energia uniformatrice che consapevolmente (o meno: automaticamente, diciamo) ignora l'esistenza di un pensiero alternativo capace di reggere il confronto e di produrre conclusioni diverse.

È debole una società incapace di affrontare con il coraggio (con il coraggio) ciò che la vita ci mette davanti.

Una società siffatta tollera la massificazione del pensiero ridondante, senza identificare il pericolo che esso reca con sé, e non vede (ormai più) la luminosa assunzione di responsabilità che produce la libertà di ragionare.

(g. g.)