Per non dire zero

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L'eliminazione (non usiamo ipocriti giri di parole) del generale iraniano Qassem Suleimani avviene il 3 gennaio 2020.

È un'operazione militare contro un obiettivo militare, anche se fra le vittime non ci sono soltanto militari: tuttavia, niente donne e bambini. Il convoglio.

Il 31 dicembre 2019 gruppi riconducibili a una sfera di influenza militare e politica iraniana attaccano l'ambasciata statunitense a Bagdad. Certo, non con i carri armati, ma in un modo che le immagini descrivono bene, escludendo il termine di manifestazione pacifica. Tuttavia: niente vittime.

Prima domanda: se fosse toccato alla Svizzera?

Seconda domanda: come ci saremmo sentiti?

La terza, vale a dire come avremmo reagito, si annulla da sola. Importante è quella precedente.

L'uccisione di Suleimani (nessuno attacca l'ambasciata Usa a Bagdad senza il suo consenso, o il suo ordine) va iscritta in questo contesto. Aggiungendo il fatto che il numero due del regime iraniano era da tempo sulla lista dei top targets.

Se fosse morto in battaglia (tenuto conto del suo coraggio che lo rendeva propenso alla prima linea)?

Scriveremmo le stesse cose, oggi?

Il generale Suleimani è morto in battaglia, che possa piacere o meno.

Le cerimonie tenutesi a Bagdad dapprima e oggi a Tehran non piangono un Gandhi persiano. Piangono un uomo di guerra.

Ciascuno proverà, nei suoi confronti e nei confronti del disegno di cui era l'architetto, la simpatia o l'antipatia del caso, ciascuno riterrà tale disegno giustificato o meno, si spera sulla base dei fatti.

Tuttavia: non è questo il punto.

Il punto è che è morto un soldato. E i soldati, in una guerra, succede che muoiano.

La Storia è colma di terrificanti rappresaglie perseguite e messe a punto per vendicare la morte di soldati e, in particolare, di alti ufficiali.

Succederà, probabilmente, anche questa volta.

La guerra impone la sua logica. E la sua realtà.

Pensare che esista una logica diversa, esterna, superiore non è inutile.

È, probabilmente, per come la pensa FdR, la premessa affinché possa essere immaginato (e prodotto) un radicale cambiamento in ciascuna situazione dentro la quale ci troviamo a vivere e in funzione di qualsiasi rivendicazione che ci sentiamo di portare avanti.

Prima, tuttavia, va resa impensabile la guerra.

Non quella che fa una parte, non quella che fa l'altra.

Tutta.

Dire che per il momento non se ne parla nemmeno è dire poco, per non dire zero.

(g.g.)