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È già una cosa: vivere. Vedere un'immagine e vedere tutte le altre, che non sono davanti ai nostri occhi, ma sono. Non si escludono. Esistono nella simultaneità di ciò che accade al mondo. Nella loro concomitanza. Uno che cammina con la sigaretta corta fra le dita è tutto.

Poi c'è la guerra in Ucraina che è una meta-guerra, cioè non soltanto proxy, come si dice, vale a dire una comodamente combattuta sulla pelle degli altri (ci starebbe un'espressione più diretta, cruda), bensì è guerra che si rivela, si svela: ci fa vedere cos'è scannarsi, cos'è farsi a pezzi, da dove nasce questa fame, di chi, di cosa si nutre, di quali pensieri, idee, certezze, parole, parole, parole  e slogan. Come ci frega.

C'è il Kosovo in fase di riaccensione, magari si fosse mai spento.

Ci sono i giovani protestatari impiccati in Iran, una corda e via.

C'è Jana Zakarna, una ragazza palestinese di 16 anni, uccisa «per errore» dai soldati israeliani (fonte esercito) durante gli scontri con uomini armati nella città di Jenin, in Cisgiordania, così.

La Turchia che è lì lì per spianare i curdi di Siria, questione di mettersi d'accordo con gli Usa.

E infine ce n'è uno che cammina con la sigaretta corta fra le dita, dove non c'è né guerra né corda, e a guardarlo è un mistero, o perlomeno un racconto lungo, lunghissimo.

È già una cosa vivere.

Vivere tutto.

Provarci.

(g. g.)