Un grazie ci stava

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Il presidente ucraino Zelenksy ci ha abituati a quelli che persino il Jerusalem Post definisce sermoni. Al termine di un sempre nutritissimo elenco di richieste saluta tutti e spegne il computer. Dimentica una parola: grazie. L'ha dimenticata anche nel collegamento video con Lugano, dopo avere fatto di donne e bambini, morti e distruzione il prologo al catalogo di cose che si aspetta che il mondo faccia per l'Ucraina. I presenti in sala al Palazzo dei Congressi a ruota, senza pietà.

Ascoltare i discorsi di apertura della Conferenza di Lugano ha prodotto l'impressione che in Ucraina la guerra sia ormai finita e che altro non si tratti di fare che aprire i cantieri.

Il presidente della Confederazione Ignazio Cassis aveva il compito di ricordare a tutti che la guerra è in corso e che ci chiede due cose. Prima: la consapevolezza di che cosa sia una guerra, nel suo inarrestabile massacro di vite. È comprensibile che il ministro degli esteri elvetico non lo sappia. Ma: avrebbe potuto chiedere in giro, trovando così indispensabili parole di pietà. Seconda: l'irrinunciabile (e però assente) missione della diplomazia a produrre ogni sforzo per fermare la guerra, a ogni costo.

Invece no: da Lugano, lo abbiamo capito, si guarda ad altri costi. Si guarda al dopoguerra, perfettamente allineati sulla linea europea, che altro non è che la linea americana confrontata a muso duro con l'opzione bellica russa.

Costi pure l'attesa di questo indefinito addio alle armi tutte le vittime, tutti i morti ammazzati necessari.

(g. g.)