«Fermatevi, stronzi!»

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Un giorno di guerra donne e uomini vecchi presero a uscire dalle macerie lasciate dai bombardamenti. Come ratti spaventati e resi mansueti dal terrore. «Fermatevi, stronzi!». L'urlo provenì da un fotografo, un mio amico. Di fronte alla scena si era rivolto a chi combatteva. Aveva capito tutto. Peccato che oggi nessuno capisca. E che lui non viva più. Se l'è portato via la guerra. Un'altra.

Non riuscivamo a spiegarci se uscissero da sotto le macerie, e se sì da quanto sotto, da quale profondità della terra, o se provenissero da un altrove, miracolosamente messo a disposizione dal destino, qualcuno disse dal Divino, noi pensammo dal caso, noi giornalisti che eravamo lì.

Iniziammo ad aiutare quei disgraziati, a portarli via, sorreggendone alcuni, allungando altri su ciò che restava di una porta, risparmiata dal soffio delle esplosioni.

Non serve nemmeno dire dove eravamo. Non è un segreto: non serve e basta. È uguale ovunque, la guerra.

«Fermatevi, stronzi!».

Fu un collega fotografo a urlarlo. Un mio amico.

Mi voltai. Ci voltammo tutti, verso di lui.

Stava lì, con lo sguardo fisso su un punto indefinito. Non c'era più nulla da osservare, nulla che stesse in piedi. Una distesa di pietre e cemento. L'armatura spuntava fuori: arterie spezzate, pensai.

Stavamo noi a malapena in piedi.

La sera, nel piccolo albergo dove i giornalisti televisivi montavano i loro servizi per i telegiornali e i fotografi lavoravano i loro scatti per le agenzie, mi avvicinai.

Gli dissi che comprendevo la sua esortazione, lanciata nel vuoto.

Infatti, cominciavo anch'io a capire la guerra.

I combattenti che stavano sulla terra dove eravamo noi dicevano che si battevano per impedire al nemico di conquistarla. Dall'altra parte (dove ero stato prima di venire da questa), dicevano che stavano combattendo per ristabilire l'equilibrio della deterrenza e così evitare che quelli da questa parte potessero creare problemi.

Era una vecchia storia. Che andava avanti da anni. E ancora oggi va avanti.

Il mio amico fotografo, che aveva esortato le parti in guerra, i soldati, i guerrieri, i guerriglieri a fermarsi, chiamando stronzi chi li comandava e chi li mandava a uccidere e a farsi uccidere, aveva visto giusto.

Nessuno sa della guerra ciò che sappiamo noi, oggi, in questo anno, in questo secolo e millennio. Sappiamo tutto di lei. L'abbiamo stanata.

Esortare chi la combatte a rifiutarla è quanto di più sensato possa esistere.

Non conduce a nulla, la guerra. È una finta pensare il contrario, oggi.

Eppure: nessuno, ma davvero nessuno, chiede che finisca quella in Ucraina.

«Fermatevi, stronzi, tutti quanti insieme!», avrebbe urlato di nuovo il mio amico fotografo che anni fa si rifiutò di continuare a fare click con le sue due camere. In quell'occasione precisa.

Sarebbe davvero l'unica via d'uscita, ancora oggi, forse soprattutto oggi: tenuto conto di ciò che sappiamo e di ciò che abbiamo accettato di non dire e che non ci venga detto, di ciò e di chi a cui fingiamo di credere, delle bugie che celebriamo, delle soluzioni che ci costringiamo a definire impossibili.

Peccato che il mio amico sia morto.

In un'altra guerra, anni dopo.

(gianluca grossi)