Sapere la guerra

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Ti fai un giro e le cose sembrano uguali. Uguali a prima. Macchine, scooter e mocassini, gente che viene, che va. Sandali. Zeppe.

Pedicure.

Manicure.

Sciure che urlano, da un lato all'altro della strada: «Will you come next week?». All'aperitivo delle 11.30, si capisce. Vedere se mancano:

«Yep, we will!».

I sciuri uguali, uso colla: «Yeah, we too!».

Palancati da paura. Non è colpa loro. Se li meritano, i danee. Hanno attraversato con il rosso e senza traffico: la vita messa al suo massimo repentaglio.

Ah!

Siamo fatti così.

Richard Hass, in un articolo che Foreign Affairs lancia nella sua newsletter di oggi, definisce questo periodo: il decennio pericoloso («The Dangerous Decade»). L'idea è che esistano decenni in cui nulla accade e altri in cui accade il pandemonio.

Sbaglia: negli anni in cui apparentemente nulla accade si prepara ciò che accadrà nei successivi. Il problema è che siamo distratti. Non vediamo le cose arrivare.

Non abbiamo ancora visto nulla, in questo decennio. C'è un odore che il peggio verrà. Non per tutti, si capisce. E come sempre.

La reazione occidentale all'invasione militare russa dell'Ucraina è disastrosa, per gli europei (svizzeri idem) e per gli ucraini stessi. Anche qui: non per tutti.

Prova a dirlo. Vedere la fine che fai.

È un ricatto gigantesco.

Per quel poco che serve, ha un senso resistergli.

Non c'è come sapere la guerra per trovare il coraggio.

(g. g.)