Pace come difetto del pensiero?

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La mail di una lettrice di FdR è lo spunto per questo post. Il racconto della guerra in Ucraina non rivendica per sé soltanto l'esclusiva della finzione salvifica alla quale siamo chiamati ad aderire sacrificando l'esercizio della ragione critica. Ci spinge (dai suoi albori) a considerare lo sforzo immenso richiesto dall'immaginazione della pace come un difetto del pensiero.

Prendiamo la Svizzera, che ieri ha festeggiato il suo compleanno.

Da mesi si è smarrita dando corda alla futile controversia degli schieramenti (destra, sinistra) sulla neutralità. Il Ministro degli esteri Ignazio Cassis l'avrebbe voluta cooperativa, questa neutralità, prima di essere bocciato, per assenza di cooperazione, dai suoi colleghi in Consiglio federale.

Micheline Calmy-Rey, anni fa, se l'era immaginata attiva, con particolare attenzione al conflitto israelo-palestinese. Vabbè. Acqua passata, anche la signora e le sue fantasie.

E ancora. La destra nazionalconservatrice: non si tocchi, è sacra, santa, è cristallina estraneità al mondo la neutralità. La sinistra varia, invece: à la guerra, à la guerre!

Disorientamenti.

Assistiamo da un po' di tempo, sui fronti divisi e ormai a fotogrammi accelerati, alla trasformazione del valore incarnato dalla pace in difetto del pensiero.

Qualcuno, ancora, crede, e testardamente, nell'estenuante esercizio necessario per evitare che la pace sfugga alla presa delle convinzioni nelle quali riconosciamo chi siamo.

Qui puoi accedere al link fornito a FdR da Erika Zippilli che alla pace, e alla sua complicazione, crede ancora. Questo le fa onore.

(gianluca grossi)