Il giornalismo è una baguette

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Reporters sans frontières pubblica, anche quest'anno, la sua istantanea sulla libertà di stampa nel mondo. È la guida Michelin dei paesi virtuosi e di quelli no. Sono davvero migliori i piatti di un ristorante stellato paragonati a quelli di una taverna oscura? Fra l'infinità poco digeribile di luoghi comuni propinati dal menù dei french reporter senza frontiere, spicca il requiem per la verità.

Due domande si impongono dopo averlo letto: quale differenza esiste fra un paese nel quale la libertà di stampa è soppressa e uno, invece, in cui è tollerata e anzi costituzionalmente protetta, ma è come se non esistesse, poiché i mezzi di informazione non fanno che copiarsi, ripetendo le stesse frasi? E ancora: quale differenza esiste fra un paese privato di libertà di stampa e uno in cui questa libertà, sebbene praticata, non cambia nulla?

Sono interrogativi che a Reporters sans frontières (RSF) non interessano: la loro classifica è finalizzata a cementare l'idea di un mondo suddiviso in buoni e cattivi, affrancati e soggiogati, giornalisti e scribi. A nessuno, a Parigi, è venuto in mente di analizzare la narrazione mediatica che è stata fatta, nei paesi certificati liberi in termini di informazione e stampa, degli anni pandemici, oppure, siccome il rapporto pubblicato da RSF riguarda il 2023, anno nemmeno concluso, quella relativa alla guerra in Ucraina o, in tempi recentissimi, nel Sudan.

A nessuno è venuta l'idea di verificare (di chiedersi, almeno) se la stampa non esprima il suo grado massimo di libertà – di passione per la libertà – sopravvivendo a stento e con infinite conseguenze personali per i giornalisti, non pochi dei quali pagano con la vita la loro luminosa ostinazione, in paesi che tale libertà avversano, e non al contrario. Sarebbe stato interessante provarci. Avrebbe forse condotto al rovesciamento della classifica. La libertà di stampa di grado maggiore andrebbe registrata, in questo caso, negli sforzi profusi per almeno lasciarne intuire un bagliore quando, invece, viene sistematicamente schiacciata. Uh!

Inoltre.

Nel rapporto di RSF ottiene una sottolineatura di tutto rispetto, quest'anno, la predica sull'intelligenza artificiale (IA): secondo Reporters sans frontières, l'IA starebbe mandando in rovina il mondo della stampa che dice liberamente la verità. Se state cercando un caso scolastico di frase a effetto (ma vuota di contenuto), segnatevi questa!

Sono, purtroppo, vecchio abbastanza per ricordare le conseguenze prodotte dalle cosiddette voci, o dicerie: correvano e correvano, all'impazzata correvano ai tempi in cui ancora lavoravo soltanto con un telefonino Nokia, al massimo con un BlackBerry, quest'ultimo capace di ricevere e inviare qualche e-mail, zero altro. Internet? Boh! Correvano da un orecchio all'altro, quelle voci. Quante volte mi è giunta – in modo analogico, cioè attraverso la percezione del fiato caldo di qualcuno soffiato contro il mio padiglione auricolare – la diceria di un evento, del ferimento di qualcuno, della morte o dell'arresto di un ministro, di un'offensiva militare appena scatenata o in procinto di esserlo, di una bomba esplosa, di un razzo impattato, dell'arresto di un capo di Stato caduto in disgrazia, di una strage di civili, di questo e di quello eccetera.

Qualcuno quella voce l'aveva messa in circolo: si era diffusa all'istante e a macchia d'olio sui social dell'epoca, che erano composti soltanto da umani, erano reti umane, sprovviste della mediazione di algoritmi di varia natura. Gli algoritmi eravamo noi giornalisti: trasmettevamo, ripetevamo, aggiungevamo dettagli veri, verosimili oppure inventati e li rimbalzavamo a chi – ne eravamo certi – avrebbe fatto da fulminea antenna ripetitrice! L'effetto è sempre stato e senza eccezioni il medesimo: fra i destinatari di queste voci, qualcuno ci ha creduto all'istante, altri hanno verificato, scoprendo che si trattava a volte di bufale, altre della verità.

Il piagnisteo di RSF sulla verità giornalistica messa a repentaglio dall'IA e dalla possibilità che essa offre di (ri)creare la realtà è un luogo comune di dimensioni colossali. È uno slogan per perditempo. Una bolla di sapone. Una stella Michelin, anzi due, tre, assegnate a se stessi senza giustificazione alcuna. Così. Voilà! Una baguette farcita di giornalismo. E si fa per dire.

È sempre andato in questo modo, il mondo. Nei secoli e nei millenni. E pure negli scorsi trent'anni che io ricordi, per averli vissuti lavorando sul terreno, con gli occhi aperti e le orecchie tese.

La verità è soltanto nello sforzo che produciamo per avvicinarci a una sua approssimazione. A una sua definizione. Tutto qua.

(gianluca grossi)