Scrivere di guerra

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La guerra ha le spalle larghe. Tollera che ne scriva persino chi non l'ha mai vista, nemmeno da lontano. È il caso di un articolo pubblicato dalla Neue Zürcher Zeitung. Il giornalista è in buona compagnia e dunque si consoli. Però: oggi si è superato.

Esistono titoli di giornale che sono come specchietti per le allodole. Frieden ist zum Tabuthema geworden (La pace è diventata un tabù), firmato da Benedict Neff, è un caso scolastico. La NZZ lo ha scelto per mascherare le divagazioni (gli smarrimenti del pensiero e anche dei riferimenti, diremmo) del suo giornalista sulla guerra in Ucraina.

Per un istante ci siamo detti: vedere che alla NZZ si sono tolti l'elmetto da scrivania reso obbligatorio dal direttore Eric Gujer, condottiero dei fanti di redazione "schierati" sul fronte orientale? Respirano! Ragionano, infine.

Giammai!

Basta leggere l'articolo per capire che il titolo serve, soltanto, al rovesciamento di quanto dichiara: la pace non è un tabù, è una cosa da poveri cristi.

Chi, oggi, osa immaginare la pace in Ucraina viene assegnato da Neff a una compagnia che, per quanto mi riguarda, non ho mai cercato e che trovo assai poco familiare. Una compagnia pescata nel mondo culturale tedesco (germanofono).

A Benedict Neff suggeriamo di guardare oltre, di leggere in lingue diverse.

Provi a leggere Sulla guerra. Perché non riusciamo a non farla (Redea Publishing).

Contiene la storia e le riflessioni di un reporter che dentro la guerra ci è finito fino al collo, e addirittura oltre. Oggi ne scrive. Nel libro, Neff viene addirittura citato positivamente per un suo articolo sulla NZZ (Deutschland im Panzer-Fieber).

Ve bene, il libro porta la mia firma. E allora?

Un buon consiglio deve per forza essere scambiato per pubblicità occulta?

(gianluca grossi)

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