Pace e finta sul Bürgenstock

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Se fossi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky starei tornando a casa divorato dai dubbi. La Conferenza sulla pace del Bürgenstock cementa l'idea secondo la quale l'Occidente con questa guerra delegata all'Ucraina ha soltanto scherzato. Lo fa ancora oggi, giornata conclusiva del summit, costringendo la parola “pace” a una partouze politica di intenti svogliati.

Avrei voluto scrivere che, finalmente, qualcuno ha osato pronunciare la parola “pace”: la Svizzera per prima, disseminandola ovunque, questa parola, in particolare sui cartelli della fotografia di gruppo, messi alle spalle dei leader politici che hanno partecipato alla conferenza del Bürgenstock. Non pochi di questi leader da oltre due anni glorificano una parola soltanto: guerra.

La prima è la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che si è espressa in conferenza stampa costringendo chi l'ascoltava a un'overdose della parola “pace”. Stesso discorso per il premier canadese, Justin Trudeau, che le ha fatto seguito.

Adesso, la scoprono? Adesso la pronunciano, la parola “pace”, dopo averla costretta all'esilio riservato alle parolacce? Dopo avere definito traditori o collaborazionisti coloro che hanno il coraggio di pronunciarla?

La conferenza del Bürgenstock, diversamente da quanto stiamo leggendo ed ascoltando sui media, non ha ridato dignità di corso alla parola “pace” e all'idea che essa incarna.

L'ha svuotata di quel poco di contenuto che le restava.

Se fossi il presidente Volodymyr Zelensky starei rientrando a casa divorato dai dubbi.

Il primo: se, un giorno, pace sarà fra Russia e Ucraina non corrisponderà al piano (ormai ufficialmente archiviato) in dieci punti al quale Zelensky ha delegato la sua sopravvivenza politica.

Il secondo dubbio: l'Occidente non ha finito di considerare l'Ucraina il teatro nel quale lavorare ai fianchi la Russia con l'obiettivo di consegnarla all'irrilevanza geopolitica.

Il terzo dubbio è la Russia. Al Bürgenstock la Svizzera ha scoperto che Mosca andrà coinvolta nelle trattative, un giorno o l'altro. Da lì a quel giorno la pace soffrirà l'inflazione semantica alla quale è stata ufficialmente costretta al Bürgenstock: non significherà nulla.

Sarà soltanto il trascurabile prodotto dello sforzo profuso in una partouze politica, consumata al buio per chi non ha voluto guardare, alla luce del sole per chi ha osato lo sguardo.

(gianluca grossi)