L’israeliano (e il palestinese) buono

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Quando non sa più che pesci pigliare, la stampa europea intervista gli intellettuali israeliani. È appena accaduto con lo scrittore David Grossman, che riconosce, “con il cuore spezzato”, che a Gaza è in corso un genocidio. L’israeliano buono, e  il suo alter ego nella figura del buon palestinese, sono lo strascico di una tenace deformazione orientalista della realtà che riduce il conflitto in Medio Oriente a una questione sentimentale, sollevando le parti in causa dalle loro responsabilità.

La dichiarazione di David Grossman a Repubblica segue di pochi giorni la presa di posizione dell’organizzazione umanitaria israeliana B’Tselem e di Physicians for Human Rights Israel che pure, a quasi due anni dall’inizio della campagna militare scattata dopo il 7 ottobre 2023, hanno definito “genocidio” ciò che sta accadendo a Gaza.

Da sempre David Grossman, insieme agli scomparsi Abraham Yehoshua e Amos Oz, per la stampa europea e il pubblico dei loro lettori sono il rifugio nel quale correre ogniqualvolta il conflitto israelo-arabo-palestinese ci conduce alla disperazione e  prossimi allo smarrimento della ragione.

Anche questa volta, a Grossman è stato chiesto di consolarci. Riconoscere, come ha fatto, che a Gaza è in corso un genocidio, rimette in asse il mondo, che agli occhi di molti torna a essere diviso fra buoni e cattivi, in questo caso fra israeliani buoni e israeliani cattivi.

Lo stesso riflesso vediamo all’opera quando chiediamo – succede però molto meno spesso – a un palestinese di assicurarci che a Gaza non tutti sostengono Hamas. Vedete bene che saperlo ci riconcilia con la realtà e con noi stessi.

Se allarghiamo lo sguardo, ci accorgiamo che ciò accade anche con gli arabi in senso lato: siamo alla costante ricerca di quelli buoni. Accade, nella stessa misura, con i russi nel quadro della guerra in Ucraina: sapere che ne esistono di buoni ci rassicura.

Questo approccio, che possiede un carattere ossessivamente orientalista, sfasa drammaticamente il nostro sguardo sulla realtà (non soltanto mediorientale) e sulla vita: ci induce a credere, infatti, che l’esistenza di situazioni terribili e terrificanti, il compimento di azioni orribili sono da imputare all’esistenza di esseri umani cattivi e crudeli.

Preferiamo avvinghiarci testardamente alla presenza dei buoni, poiché questo ci risparmia una verità difficile da reggere: date le circostanze e le costellazioni necessarie, saremmo capaci anche noi delle peggiori azioni.

Questa dolorosa, ma indispensabile conoscenza non assolve i responsabili, non li solleva dalle loro responsabilità. A contrario, li inchioda. Lo fa in modo assai più severeo che non la certificazione di bontà elargita agli uni e di malvagità incollata addosso agli altri.

In un senso altrettanto radicale, questa verità ci evita di illuderci  che l’orrore sia, tirate le somme, una questione sentimentale.

(gianluca grossi)