Gli occhi (chiusi) sulla guerra

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Chi legge Faccia da Reporter e segue i miei lavori ha familiarità con una mia convinzione: nelle poche occasioni nelle quali la guerra si manifesta ai nostri occhi più vicina a quella che è davvero, facciamo di tutto per non vederla. E, pur di riuscire, ci inventiamo dei pretesti grandi e ingombranti come un elefante.

È il caso di un articolo apparso oggi sulla Neue Zürcher Zeitung (NZZ), firmato da Ulrich M. Schmid. Il pretesto glielo hanno dato tre fotografie premiate di recente dalla World Press Photo(WPP). Qui di seguito mi limiterò alla parte in cui Schmid si occupa di due scatti in particolare.

Primo: lo scatto di Florian Bachmeier, che mostra Anhelina, una bambina ucraina traumatizzata dalla guerra, fotografata sdraiata su un letto con lo sguardo diretto verso una finestra.

Secondo: lo scatto di Nanna Heitmann, che mostra un soldato filorusso della Repubblica popolare del Donetsk allungato su una barella in un ospedale da campo improvvisato prima che gli vengano amputati un braccio e una gamba. L'immagine sembra richiamare il Cristo morto nella tomba di Hans Holbein e l'Ultima cena di Leonardo da Vinci.

WPP aveva previsto di esporre le due immagini insieme, in un dittico. Dopo le proteste dell'Associazione dei fotogiornalisti e del Ministero degli esteri ucraini, ha però fatto retromarcia e presenta, ora, le due fotografie separatamente. Anche la motivazione di WPP che spiegava perché erano state, in origine, unite è stata modificata.

L'articolo della NZZ si schiera senza esitazioni dalla parte di chi ha criticato la decisione della giuria di WPP e fornisce un esempio scolastico di quanto sostengo da tempo: vedere (e mostrare) la guerra per quella che è, su tutti i suoi fronti, crea uno scandalo insopportabile per chi legge la guerra stessa attraverso categorie morali selettive, dividendo il mondo fra buoni e cattivi. Lo stesso Ulrich si rifiuta di guardare la guerra, preferendole la versione che di essa si è fatto. Preferisce, cioè, credere che la guerra corrisponda all'immagine consolatoria e, in fondo, rassicurante della lotta del bene contro il male, dei buoni contro i cattivi.

Inutile dire che non sono d'accordo.

Vediamo come Ulrich M. Schmid interpreta lo scatto del soldato filorusso gravemente ferito realizzato da Nanna Heitmann: «Questa doppia citazione (Holbein e da Vinci, gg.) esalta metafisicamente la figura del soldato: egli appare come un nuovo Messia che soffre per un ideale superiore. In questo modo, la foto sostiene in ultima analisi una narrativa propagandistica del Cremlino che celebra i suoi soldati come redentori e assegna loro un posto ben definito nella storia nazionale della salvezza».

Non so davvero dove Ulrich M. Schmid si andato a prendere questa interpretazione, se non dal fatto che la fotografa, che è tedesca, risiede e lavora attualmente in Russia. Forse Schmid ce lo spiegherà.

Di nuovo, quella di Ulrich M. Schmid è una lettura che si accontenta di poco. Non ha il coraggio sufficiente per superare lo steccato fra parti belligeranti e la distribuzione dei torti e delle ragioni. Soltanto questo coraggio gli permetterebbe di guardare la guerra negli occhi senza abbassare lo sguardo per un secondo.

Scrive ancora Ulrich M. Schmid, e davvero merita di essere letto: «La fattura estetica della fotografia in questo caso è in netto contrasto con la valutazione morale dell'argomento rappresentato».

Tradotto: la fotografia è troppo bella per consentirci di pronunciare un giudizio morale.

Quale sarebbe questo giudizio morale? Leggiamo: «La verità dell'immagine è tanto semplice quanto amara: il soldato è stato ferito perché combatte in una brutale guerra di aggressione. Questa guerra è stata iniziata nella lontana Mosca».

Il giudizio morale di Schmid diventa, addirittura, una verità, quindi un assioma assoluto. Peccato che si tratti della verità che tanto sembra confortarlo: quella di una guerra dentro la quale i buoni stanno da una parte e i cattivi dall'altra.

Di nuovo: inutile dire che, sulla scorta della mia esperienza, questa visione dei campi di battaglia – di tutti i campi di battaglia – mi appare come insostenibile e insopportabile.

Leggiamo la conclusione di Ulrich M. Schmid: «Nella migliore delle ipotesi, la sofferenza del soldato è una conseguenza insensata della decisione di guerra spietata di Putin. Nel peggiore dei casi, è corresponsabile del trauma della ragazza, la cui infanzia è stata appena distrutta dai bombardamenti» (l'allusione è allo scatto di Florian Bachmeier gg.).

Mi pare di avere fornito un'eccellente dimostrazione di come sia possibile chiudere gli occhi di fronte alla guerra per vedere soltanto la versione che ci permette di prendere sonno la sera. Se avessimo il coraggio di tenerli aperti, invece, non prenderemmo più sonno, ma almeno capiremmo.

Capiremmo che cos'è la guerra davvero, sul serio, che cosa fa agli esseri umani, adulti e bambini, soldati e civili, al di là dei muri ideologici e del facile moralismo. Muri che alziamo per non vedere.

Se c'è una lettura da dare agli scatti di Florian Bachmeier e di Nanna Heitmann è questa: il giudizio che la guerra ci esorta a pronunciare va ben oltre una «valutazione morale» di facciata. Nel riconoscere i disastri che la guerra (combattuta dagli esseri umani) compie senza fare alcuna distinzione fra buoni e cattivi, la sola cosa che siamo chiamati a fare è riconoscere i subdoli raggiri – e sono molti – che contribuiscono ad alimentarla. Credere e farci credere che una fotografia di guerra possa esprimere una «valutazione morale» diversa da questa è prenderci per degli imbecilli.

(gianluca grossi)

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Eyes (closed) on war