Il prezzo da pagare

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Gli ardori e gli accaloramenti per la Striscia di Gaza hanno conosciuto il prevedibile tonfo del termometro. È il destino di ogni febbrone, ma è anche la conseguenza di un difetto di fabbrica delle proteste alle quali abbiamo assistito: mai per un solo istante chi protestava ha considerato l’indispensabilità di inchiodare anche Hamas alle sue responsabilità – il partito / movimento resistenziale, con responsabilità di governo (assoluto) nella Striscia, sapeva come Israele avrebbe reagito all’attacco del 7 ottobre. Con la sua azione, Hamas ha invocato tale scatenamento: ha tolto la spoletta alla granata, augurandosi la malaugurata saldatura – consapevole e inconsapevole – fra le proteste di piazza e un’interpretazione apocalittica e suicida della resistenza palestinese.

Detto questo, è interssante notare come in Europa si stia producendo un cambiamento epocale al quale pochissimi sono sensibili e pochissimi oppongono la loro resistenza intellettuale: la guerra in Ucraina ha scatenato la retorica guerrafondaia e la corsa al riarmo. Il periodo storico è quello di uno smarrimento totale, incarnato da una classe politica e mediatica insufficiente.

Sulle società d’Europa è scesa una cortina di indifferenza. Perché? Lho scritto a più riprese, anche su Faccia da Reporter: opporsi alla versione ufficiale della guerra fra Russia e Ucraina, prodotta e sostenuta da tutti i governi e dai media scolastici, ridere – per la disperazione – dell’orgia guerresca che si consuma a Bruxelles e in tutte le cancellerie europee, ha un prezzo altissimo e vero, cioè reale.

È il prezzo che richiedono l’indipendenza e la libertà del pensiero critico. Pagarlo è un onore riservato ai pochi.

È normale che non scenda in piazza nessuno, questa volta.

(gianluca grossi)

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The price to be paid