La diretta è passato

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La diretta televisiva forniva, fino a un po’ di tempo fa, la sola possibilità di compiere l’esperienza del mondo osservato nel suo accadere (a meno di essere sul posto, ipotesi che tuttavia rappresentava e rappresenta un’opzione negata alla maggior parte di noi).

Lo scarto temporale richiesto dal satellite per trasmettere le immagini nelle nostre case era un elemento ritenuto trascurabile, tuttavia sbagliando. Il fatto che ciò che vedevamo sui teleschermi del salotto di casa fosse già accaduto trasformava la realtà di cui eravamo testimoni e che consideravamo colta nel suo farsi in un relitto temporale.

Infatti: sul luogo dal quale proveniva la diretta stava già accadendo qualcosa d’altro: la stessa cosa, la stessa scena, certo, ma proiettata in un futuro misurabile in tre, quattro e a volte anche cinque secondi di differenza.

La nostra esperienza della realtà colta nel suo farsi in diretta era, per dirla tutta, un’esperienza del passato nel suo essersi ormai compiuto.

Andiamo avanti e arriviamo a oggi.

La possibilità di trasmettere la realtà attraverso gli smartphones ha privato la diretta televisiva della sua eccezionalità. Tuttavia, anche la diretta via telefonino (su Facebook, in particolare) è assoggettata allo stesso ritardo temporale dovuto alla trasmissione che consegna ciò di cui siamo testimoni a un passato al quale attribuiamo (mentendoci) le credenziali del presente. Il presente, invece, è altrove: ancorato nel luogo di trasmissione che, irrimediabilmente, è caratterizzato da un tempo futuro (rispetto al tempo della nostra fruizione).

Filosoficamente parlando, tutto questo è affascinante. Lo è anche giornalisticamente.

La televisione ha recuperato il terreno perduto nei confronti dello smartphone dotandosi della possibilità di trasmettere in diretta non via satellite, ma attraverso la rete di telefonia mobile 4G. Ciò ha permesso alle emittenti di essere molto più flessibili (non sono più dipendenti da un carro di trasmissione dotato di parabolica satellitare) e di potere trasmettere da qualsiasi luogo. È stato un grande passo avanti. Il quale, tuttavia, non ha risolto il problema del cosiddetto ritardo: vale a dire di un presente che arriva sui nostri televisori o sugli schermi dei nostri smartphones o tablets con uno scarto temporale che lo consegna irrimediabilmente al passato (è un presente già trascorso).

La diretta televisiva, che è stata all’origine del proliferare delle emittenti all news (di sole notizie sul mondo, vicino o lontano che sia) ha raggiunto una perfezione tecnologica che, probabilmente, soltanto l’avvento della rete 5G potrà migliorare, anche se non è ipotizzabile un superamento totale dello scarto temporale della trasmissione della realtà per rapporto alla dimensione (sempre temporale) nella quale ci troviamo noi destinatari.

Tuttavia: il progresso tecnologico relativo alla restituzione della realtà consegnata a tutti, giunto al punto di perfezione nel quale si trova oggi, rivela (confessa) la sua insufficienza.

Quale insufficienza, spacca-capello-in-quattro che non sei altro, chiederete voi?

Il punto debole della diretta intesa quale ambizione tesa a restituire la realtà nel suo compiersi diventa visibile nel momento in cui ci troviamo (obbligatoriamente) ad ammettere che possiamo certo osservare ciò che succede, ma  siamo incapaci di prevedere (o diciamo, più modestamente, immaginare, anche se il termine esatto è documentare) ciò che accadrà.

Non è roba da fattucchiere e lettrici + lettori di tarocchi. Dovrebbe essere ciò che chiamiamo giornalismo.

La perfezione tecnologica del giornalismo televisivo con tessera stampa e della testimonianza socialmediatica prodotta dal giornalismo partecipativo (citizen journalism), certificate entrambe dall'etichetta live, mostrano i loro limiti nell’incapacità di prevedere (presagire, anche se il termine corretto, di nuovo, è: documentare) ciò che accadrà. Non come vaticinio, ma come curiosità proiettata sulla realtà, sul mondo, sul terreno, sulla nostra vita, come attenzione capace di anticipare il futuro.

La diretta è incapace di produrre questa forma di anticipazione. Il naso (il naso!) invece sì.

Passa probabilmente da qui (da una forma di massima esposizione alla realtà del soggetto testimone: è un'ipotesi del ragionamento) la guerra contro le fake news.

Della capacità di queste ultime di invadere anche le dirette televisive FdR scriverà domani partendo da un esempio relativo alla copertura mediatica delle proteste delle Giubbe gialle in Francia.

(g.g.)

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