Ci è tornata a piacere la guerra

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A Davos il testimone della Conferenza per la ricostruzione dell'Ucraina è passato dalla Svizzera alla Gran Bretagna. Fingiamo di credere che quando la guerra sarà finita i morti ci ringrazieranno per non averla fermata e le rovine per averle rimosse.

Fa male doverlo scrivere: non è mia intenzione escludere l'esistenza di qualcuno all'interno dell'iniziativa che genuinamente (e senza dubbio ingenuamente) creda che questa macchina solidale costituisca l'urgenza del momento.

È dolorosa ironia della Storia colta nel suo farsi attraverso la cronaca che il testimone sia passato nelle mani di Londra: dai tempi (non lontani) di Boris Johnson premier la Gran Bretagna è fra i Paesi più schierati sul fronte di una soluzione esclusivamente bellica del conflitto: l'invasione russa da contrastare fino all'ultimo ucraino, costi quel che costi.

L'Ucraina andrà ricostruita, certo, anche con gli aiuti occidentali. E tuttavia oggi l'urgenza disattesa, ignorata e, addirittura, deprecata è un'altra: fermare la guerra.

Si è invece imposta, attraverso il discorso della politica (Stati Uniti con l'Europa in coda), un discorso portato in qualità di fuoco di sostegno dalla narrazione dei mass media, l'idea che la guerra finirà soltanto con la sconfitta della Russia, ovvero, come da versione ufficiale, con la sua messa in condizione di non (più) nuocere.

Che il programma di ricostruzione dell'Ucraina venga portato avanti da chi è, oggi, testimone della riduzione in rovine di una parte non trascurabile del suo territorio sfiora (e credo vada oltre) il cinismo. Lasciatevi pure fare a pezzi: noi ricostruiremo.

La ricerca di discordanze o dissonanze è ardua, quasi del tutto sterile: consumo giornalmente quantità industriali di giornali e altre fonti, da ogni parte dell'Occidente, e credo di non sbagliarmi. È stata ipnoticamente sdoganata l'idea che la guerra risolva tutti i problemi e che alla guerra si possa rispondere soltanto con la guerra. Nessuno vede (o vuole vedere) che la guerra reca con sé anche l'opportunità della sua negazione.

La Conferenza di ricostruzione dell'Ucraina è purtroppo complice di questa versione falsa e falsata della realtà. È una cortina fumogena a uso e consumo dell'opinione pubblica. Il fatto che la Svizzera ne sia parte attiva costituisce, nella circostanza, un errore fondamentale, una sorta di peccato originale dentro questo conflitto, con imbarazzanti conseguenze a venire. Non è sbagliato (al contrario!) pensare al futuro di un Paese martoriato: è però sbagliato credere (e fare credere, come si sta facendo) che sia la sola cosa a cui pensare e da preparare oggi.

Abbiamo rinunciato (in superficie e anche dietro le quinte) a schierare tutto ciò che la diplomazia avrebbe permesso di schierare. Abbiamo ceduto all'idea che soltanto à la guerre comme à la guerre incarni ancora oggi il prolungamento esclusivo della politica portata avanti con altri mezzi.

Si sta, così, a guardare. A calcolare con il bilancino chi manda quante (vecchie) armi, quanti (vecchi) mezzi blindati. Chi promette quanti (ipotetici) miliardi per una ricostruzione lontana, quasi fuori dal tempo. Nella speranza che la Russia si stanchi, un giorno, e che qualcosa succeda.

Ci è tornata a piacere la guerra.

Fingiamo di credere, soltanto, che quando finirà sarà come se non ci fosse mai stata.

Mai stati i morti. Mai le rovine.

Averne vista una, basterebbe anche mezza, per credere che non è così.

(gianluca grossi)

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