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Se, come lo sono io, siete anche voi lettrici e lettori di FdR interessati a collezionare esempi di racconto giornalistico che trasforma la guerra in qualcosa che essa non è, prendetevi qualche minuto per leggere il dispaccio dal fronte di un giornalista della BBC.

Quentin Sommerville è un coraggioso inviato della BBC sul fronte ucraino della guerra con la Russia. In questo reportage, pubblicato oggi dal sito online della testata britannica, ci racconta una serie di situazioni e di incontri con i soldati impegnati nei combattimenti.

È interessante leggere il suo dispaccio, considerato che probabilmente la BBC ha riservato le immagini filmate alla sua versione on air. Non è detto che non le carichi in rete fra un po'.

Dal racconto del giornalista la guerra risulta essere una cosa normale: droni in azione, fuoco nemico in entrata, un padre che ha perso il figlio soldato e che continua a combattere, una donna che, sola, è rimasta nel suo villaggio, aiutata dai militari, la jeep blindata sulla quale Sommerville viaggia che si arresta di colpo di fronte alle piante di ciliegie e i soldati ucraini che scendono a fare man bassa.

La restituzione dei due giorni che Sommerville ha trascorso su questo fronte è precisa e credibile: è un'importante prova di come la guerra sia capace di imporsi agli esseri umani quale sola realtà ormai pensabile, sprovvista di alternative. Ci fa credere che non ne esista più un'altra al di fuori di lei.

Il dispaccio del giornalista della BBC è la prova provata di quanto sia astuta la guerra: con meticolosità prepara le trappole dentro le quali noi cadiamo sempre.

Credo che anche Sommerville ci sia caduto dentro, e questa non costituisce una novità: ci siamo caduti tutti noi reporter di guerra prima di lui. Osserviamo e raccontiamo esseri umani intenti a scannarsi a vicenda e mangiare ciliegie in una pausa dei combattimenti senza cogliere il terrificante raggiro al quale ci prestiamo. Come se la guerra potesse essere (anche, a volte, in alcuni istanti) bella.

Non soltanto i soldati si prestano: pure i giornalisti finiscono nei tranelli della guerra.

Oggi sono convinto che il compito dei reporter sia, invece e soprattutto, quello di smascherare la guerra: individuare e smontare le sue trappole. Raccontarle!

Se non lo facciamo, accettiamo di essere complici della guerra e della sua continuazione: contribuiamo in modo preponderante a trasformarla in una cosa che essa, però, non è.

Se ti interessa saperne di più puoi leggere il mio nuovo libro: Sulla guerra. Perché non riusciamo a non farla (Redea).

(gianluca grossi)

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