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Donald Trump se la prende con le testate giornalistiche ormai (per una sorta di noia allergica) oppure da sempre (dalla nascita) totalmente estranee alla sua base elettorale.

Le avrebbe potute definire “carta igienica”, con una battuta in perfetto stile, ripetuta tre o quattro volte e basta, come succede.

Nella sua rozzezza, Trump è più astuto. La carta igienica serve a tutti, difficile indurre un rapporto conflittuale con la stampa sulla base di un foglio di carta quotidianamente indispensabile.

Invece: l'accusa di fake news suscita sospetto, l'anatema di nemici del popolo (copyright Trump) produce odio. L'odio è colla: tiene insieme la gente che non ha più voglia di pensare.

Ha ragione Roger Cohen nel suo editoriale: non serve a nulla definire. Bisogna descrivere. La descrizione consente la comprensione.

Dare del populista a uno che ha votato Trump (per dirne uno). Dare del populista a un populista. Cambia qualcosa? Abbiamo capito una virgola relativamente alla sua decisione elettorale, alla sua posizione nella società? Nulla.

È parte inseparabile della descrizione la dimostrazione. È compito della stampa dimostrare ciò che è vero e ciò che è falso. Inchiodare ai fatti chi si riempie la bocca di fake news, su tutti gli schieramenti esistenti (giornalisti, e ce ne sono, inclusi).

L'oggettiva inascoltabilità di Trump e la terrificante esperienza di chi si sottomette alla lettura dei suoi Tweet sono chiavi di lettura del mondo e di un corso pseudopolitico (e pseudodemocratico) ormai instauratosi.

Chi non l'ha visto arrivare, da tempo, è perché guardava da un'altra parte o non guardava.

Le istruzioni per l'uso vanno conservate: una volta montato, un armadio bisogna saperlo anche smontare. È indispensabile per ricostruirlo.

La resistenza non è fatta di piagnucolii. Nemmeno quella giornalistica. Andare da Trump, come ha fatto l'editore del New York Times, e chiedergli che la smetta di attaccare i giornalisti è una resa. Una resa e basta.

Meglio, molto meglio, quella dei conti affidata al pensiero e alla sua militanza.

(gianluca grossi)