Ripensare l'informazione

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La polemica RINGIER ha investito la Svizzera tedesca, non le province del Paese. Eppure la tegola caduta sulla testa di Marc Walder, CEO del gruppo editoriale zurighese, è l'occasione per ripensare l'informazione.

Era prevedibile che piovessero tegole su Marc Walder, CEO del gruppo Ringier e così una delle personalità più influenti nel panorama mediatico svizzero.

È successo da copione dopo la pubblicazione del video nel quale dichiara (febbraio 2021) di avere chiesto alle sue redazioni (Blick, Blick am Sonntag ecc. in Svizzera, altre testate all'estero) di sposare decisioni e azioni del Governo (dei governi) in materia di lotta a Covid19.

Walder si è spiegato online ancora ieri sera sul tardi in un'intervista alla NZZ. Non ha convinto. Al contrario. Come avrebbe potuto.

La polemica sembra interessare unicamente la Svizzera di lingua tedesca. Il resto del Paese è periferia e si comporta come tale (mi sarà senza dubbio sfuggito qualcosa).

Marc Walder ha tuttavia avuto l'ardire (il coraggio) di dichiarare la sua posizione editoriale, seppure chiedendo candidamente (ci starebbe un altro avverbio) a una platea di pubblico virtuale di tenersela per sé. Ciò facendo ha rasentato il ridicolo, anzi è andato oltre, ma intanto: non lo ha nascosto.

La rivelazione del Nebelspalter andrebbe presa come occasione non tanto di polemica, quanto piuttosto di introspezione e di autocritica.

Certo, non è facile prodursi in un tale esercizio quando, dall'inizio della pandemia, si è scelto di assegnare la critica alla categoria del pensiero tossico.

Aldilà della coincidenza ravvicinata con l'appuntamento elettorale del 13 febbraio (legge sul finanziamento ai media), la rivelazione del Nebelspalter mantiene tutta la sua urgenza, che in fondo neutralizza qualsiasi ipotizzabile intenzione recondita o secondo fine di chi l'ha pubblicata.

L'informazione (esiste: l'informazione?) è stata colta di sorpresa dalla pandemia e ha rivelato la sua impreparazione ad affrontare un evento che non riguarda più gli altri, lontani da noi, povericristi costretti chissà dove, e invece interessa da vicinissimo la nostra vita, la malattia e la morte.

La reazione è stata duplice.

Uno: serrare le fila con le autorità, tuttavia nell'assenza totale di una legge straordinaria che costringa l'informazione al setaccio della censura. Siamo così in presenza di una sottomissione volontaria dell'informazione (della stampa) che ha purtroppo saputo soltanto produrre un linguaggio spettacolarizzante venduto però come senso di responsabilità. Ciò facendo è stata compromessa la genuinità dell'adesione (non della sottomissione) quando questa ci sta.

Due: concludere che soltanto reportage e documentari dalle cure intense, nonché la comunicazione in prima pagina dei numeri (molto spesso non soltanto confusi, ma privi di alcuna spiegazione, diremmo di alcuna contestualizzazione) di contagiati, ricoverati e purtroppo deceduti possano restituire il resoconto di una società (di tutte le società) alle prese con quello che la vita violentemente fa di noi quando le va di farlo.

La crisi Covid19 è l'occasione per un ripensamento radicale dell'informazione, del racconto del mondo e della realtà che essa produce.

Per come sembrano messe le cose oggi, ciò non avverrà molto presto.

(g. g.)