Silenzi stampa

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Per una volta, il Consigliere federale Alain Berset si sta prendendo una tempesta che non merita. Se i Corona-Leaks hanno portato alla luce uno scandalo, esso riguarda soltanto la stampa per il modo in cui si è comportata durante la crisi pandemica. Ha infatti rinunciato, con pochissime eccezioni, a fare il suo lavoro in un momento di drammatica fragilizzazione della democrazia e della popolazione.

Non esistono infinite letture dei cosiddetti Corona-Leaks, cioè le rivelazioni del gruppo CH Media sul presunto filo diretto che durante la pandemia sarebbe esistito fra l'ormai ex responsabile della comunicazione del consigliere federale Alain Berset, Peter Lauener, e il CEO di Ringier, Marc Walder: se corrisponde a realtà e a verità il volume degli scambi avvenuti (sembra soprattutto via mail), più che di un un filo diretto dovremmo parlare di un gasdotto di notizie confidenziali, di un Nord-Stream 3 di esclusive, di una pipeline elvetica attraversata da segreti subito pubblicati.

Non esistono nemmeno infinite ragioni perché l'opinione pubblica possa sentirsi indignata, o perlomeno delusa, molto delusa. Ne esiste una sola.

Andiamo per esclusione.

Primo: un portavoce e spin doctor (consulente) di una personalità politica (ministro/a ecc.) che passa informazioni alla stampa non è una novità. Il fenomeno del do ut des è sempre esistito. È parte costitutiva del gioco delle parti in una democrazia. Le finalità di questo baratto sono molteplici, non mai disinteressate e capita che non siano nemmeno sempre cristalline o moralmente al di sopra di ogni sospetto: possono esserlo, certo, ma non esiste garanzia. La politica “ci prova”, come scrivevamo il 15 gennaio su FdR.

Secondo: la stampa ha il diritto di coltivare queste relazioni particolari con la politica (dai rappresentanti diretti ai loro portavoce). Può farlo a condizione di essere consapevole che possono diventare relazioni pericolose: succede quando l'equilibrio si guasta perché mutano i rapporti di forza. Qualcosa si è guastato se le fonti (attraverso, ad esempio, la promessa di un flusso di informazioni costante ed esclusivo) iniziano a dettare la linea editoriale, oppure se la linea editoriale costituisce il solo motivo per cui una fonte si schiude e sgorga abbondante.

Terzo: non dovrebbe sorprendere nessuno che fra colleghi e colleghe di governo si ricorra a colpi bassi per questo o quest'atro motivo, per l'avanzamento di questo o quest'altro dossier. Non è bello, non è elegante, non è nemmeno corretto, figurarsi se possa essere auspicabile, ma è comunque ancora democrazia. L'allarme deve suonare se il colpo basso diventa la norma.

A questo punto, esiste una sola ragione per la quale i Corona-Leaks vanno presi estremamente sul serio e, a discrezione, definiti uno scandalo.

Le testate del gruppo Ringier non sono state le sole a promuovere (e a simpatizzare con) la  gestione della pandemia del Dipartimento federale dell'interno e la comunicazione messa in atto da Berna. Il DFI ha potuto contare, anche senza soffiate, su una stampa che (con pochissime eccezioni) aveva smesso di esercitare il suo potere sulla politica, diciamo smesso di esercitare la sua autorità, preferendo l'accondiscendenza e l'allineamento, venduti al pubblico, attraverso una curiosa operazione di marketing deontologico, come assunzione di responsabilità.

Una stampa che ha cercato di mettere il bavaglio a chi, nel pieno rispetto delle opinioni altrui, osava fare domande, usava la testa, a chi era insomma rimasto fedele al pensiero critico nella convinzione che fosse il solo modo per affrontare una situazione difficile e per uscirne.

Una stampa che nemmeno oggi, di fronte all'inappellabile evidenza fornita dai Corona-Leaks, è disposta a tirarne le conclusioni che la riguardano da vicinissimo, a  fare un minimo di autocritica e, infine, a imparare, come facciamo tutti, dagli errori commessi.

(gianluca grossi)

 

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Bloss keine Selbstkritik