Giles Duley:
"Sono un contastorie"

© 2018 Giles Duley / Erbil, Kurdistan iracheno

FdR: Giles, il tuo lavoro è cambiato, oggi?

Giles Duley: Tutto è cambiato. Un fotografo non può più vivere del lavoro che vende a un giornale o a una rivista. Perché dovremmo piangerci sopra? Non ha senso: è andata così. Si sono però aperte nuove opportunità. Nel mio caso, i finanziamenti derivano in particolare dal crowdfunding, dalla raccolta di fondi online o dal contributo di individui che conoscono e apprezzano il mio lavoro. Un certo modo di essere fotogiornalisti è tramontato. È anche un fatto positivo.

FdR: Perché?

Giles Duley: Prima esisteva un gruppo ristretto di photoeditors che decidevano che cosa si pubblicava nel mondo. Oggi, io decido di andare da qualche parte senza che nessuno mi dica quale storia portare a casa, qual è la storia da raccontare, senza che qualcuno mi dica che devo scattare una foto così, un'altra così e un'altra ancora così e così. La storia la cerco e la trovo io, torno a casa e la metto sui social oppure le stampo in modo indipendente. C'è molta più libertà.

FdR: Le grandi testate hanno smesso da tempo di raccontare il mondo per davvero.

Giles Duley: Il grande fotoreporter Don McCullin ha smesso di fotografare quando il suo giornale, il Sunday Times, ha cambiato direzione, preferendo ai suoi scatti quello di attori e personaggi famosi, di gossip eccetera. Ha smesso di fotografare perché non sapeva più dove pubblicare le sue fotografie.

Faccia da Reporter: Tu hai trovato un modo innovativo di lavorare.

Giles Duley: Quando rientro da un viaggio, cerco la soluzione per distribuire i miei scatti, che sono riuniti sotto il titolo The Legacy Of War. Per esempio, ho lavorato e collaborato con la band Massive Attack. Le mie fotografie sono state proiettate durante un loro concerto. Ci siamo chiesti, tuttavia, qual è il senso di proiettare delle fotografie lasciando che la gente rientri a casa senza nulla. Abbiamo allora deciso di pubblicare un giornale gratuito da consegnare a chi partecipava al concerto, con le mie fotografie e la storia delle persone ritratte. La gente se lo è portato a casa. Sto imparando costantemente nuovi modi per distribuire le mie storie, per farle conoscere.

Faccia da Reporter: Come ti definisci?

Giles Duley: Sono un contastorie. Non uno che raccoglie storie, ma uno che le racconta. Il 50 % del mio lavoro è dedicato all'incontro con altre persone, le fotografo e le ascolto. L'altro 50 % è cercare un modo per diffondere le loro vite. Non possiamo più pretendere che altri raccontino le storie che noi abbiamo ascoltato. La storia la racconto io.

Faccia da Reporter: Ci sono molti fotografi giovani in giro per il mondo. Riescono a vivere tutti del proprio lavoro?

Giles Duley: Questo è il vero problema. No, non riescono. Credo che debbano archiviare per sempre l'idea che possano vivere vendendo i loro scatti a una rivista o a un quotidiano. Personalmente, mi sono rivolto anche a delle Organizzazioni non governative: ho chiesto loro “Perché non mi fate scattare delle fotografie su ciò che fate? Voi mi sostenete finanziariamente e io pubblico questi scatti”.

Faccia da Reporter: Il lavoro con le Ong è davvero indipendente?

Guiles Duley: Troppe Ong vanno in giro per il mondo con il loro programma e con i loro interessi (“their own agenda”). Quando sono stato ferito alcune persone mi hanno detto: “Possiamo raccogliere soldi per te, non dovrai più preoccuparti di nulla!”. Altre persone mi hanno invece chiesto: “Come possiamo aiutarti in modo tale che tu possa di nuovo lavorare?”.

Il punto è tutto qui. Nei campi profughi vivono persone straordinarie: tutto quello che vogliono è che ci sia qualcuno che gli dia una mano finanziariamente, non chiedono di essere messe sotto tutela. Queste persone hanno così tante risorse. La più grande risorsa che non viene utilizzata dalle Ong sono le persone locali. Nei campi profughi in cui sono stato, ho visto Ong portare maestri da fuori, personale estero incaricato di costruire il campo. Non ha senso: nei campi ci sono già tutte le persone necessarie per farlo. Devi solo dargli un'opportunità.

Faccia da Reporter: Film o digitale?

Giles Duley: Film. È una tecnica che mi ha rallentato. Nel corso degli anni mi sono reso conto che meno fotografie scatto, meglio sono.

Faccia da Reporter: In molte serie che hai scattato hai usato un telo bianco come sfondo ai soggetti ritratti. Perché?

Giles Duley: Ho capito che molte persone rispondevano di no alla mia richiesta di fotografarle perché si vergognavano di mostrare dove vivevano, dove erano costrette a vivere. Anche mia nonna faceva lo stesso. Le chiedevo di fotografarla in casa e mi diceva: “Torna domani!”. Nel frattempo sistemava la casa. Se invece metti uno sfondo bianco dietro le persone fotografate, potrebbe essere ovunque. L'altra ragione è che io chiedo ai giovani, alle persone che accorrono incuriosite dalla mia presenza di darmi una mano, di costruire lo studio all'aperto. Le coinvolgo.

FdR: Un'ultima domanda, Giles. Cosa pensi delle leggi internazionali applicate alla guerra?

Giles Duley: Penso che sia una delle cose più strane del mondo. Perché definiamo terribile e inaccettabile un attacco con armi chimiche mentre tolleriamo che un bambino venga fatto a pezzi dalla scheggia di un ordigno convenzionale? La guerra è semplicemente distruggere qualcun altro, dilaniare il suo corpo. Non puoi essere d'accordo con questo. Non possono esistere leggi della guerra. Può esistere soltanto una legge: una che proibisca la guerra.